Più di qualcuno si starà ponendo questa domanda,
e molti altri, non avendo trovato risposta, hanno semplicemente continuato
a soddisfare la loro fame, a ripetizione, senza che una motivazione
oggettiva giustificasse l’assunzione di cibo in quel momento. A volte
si prova a dare una giustificazione a questo comportamento, chiamando in
causa la fretta, lo stress di ogni giorno, la cosiddetta “fame nervosa”, o
la spinta emotiva che esercitano i vari spot pubblicitari a tema
alimentare, ed anche le decine di programmi televisivi dedicati al cibo.
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Eppure non basta a spiegare perché il fenomeno
sia così ricorrente in larghissima parte della popolazione, incrociando
trasversalmente qualunque classe sociale, e con fasce di età molto
diverse. Anche l’idea che le persone poco dedite all’attività fisica
mostrino attitudini diverse nei confronti del cibo, rispetto a chi pratica
sport, non trova una motivazione adeguata. E allora, cosa accomuna
tutti questi individui? Semplicemente un certo tipo di alimentazione, e
cioè quello che prevede un elevato apporto di zuccheri (e tra questi
dobbiamo ricordare non solo i dolci, ma anche la pasta, il pane, la pizza,
ecc). Cosa accade. Nel nostro organismo la natura ha voluto inserire
dei sistemi (a base di ormoni) in grado di comunicarci (attraverso il
cervello) di che cibo abbiamo bisogno, e in che quantità. Nella fase
iniziale di questo processo ci troviamo quindi nella condizione di essere
spinti a procurarci del cibo, per poi consumarlo, e successivamente, a
ricevere, via via che il pasto procede, dei segnali di aggiornamento sul
nostro status di “affamati”, in grado cioè di farci capire che il cibo già
consumato è sufficiente alle nostre necessità, e che non è necessario
introdurne altro. Il meccanismo è efficiente e non crea situazioni di
fraintendimento tra i vari organi del corpo. A meno che l’uomo non
intervenga a corromperlo con un comportamento improprio. Per improprio
vado ad intendere la reiterata introduzione di cibi in grado di rendere
inefficaci i sistemi di comunicazione “pancia/cervello”. A indicare al
cervello che la dose ottimale di cibo è stata raggiunta, provvede un
ormone, presente nello stomaco, chiamato
#colecistochinina.
Questo ormone è però SENSIBILE ALLA PRESENZA DI PROTEINE E GRASSI, e se
questi due macro elementi nutrizionali vengono sovrastati dalla presenza
di carboidrati, il loro segnale è debole e non viene colto dalla
colecistochinina. Il cervello non riceverà a sua volta alcun input
relativo alla presenza di cibo nello stomaco, e quindi ci ritroveremo a
mangiare fino a che avvertiamo una certa “espansione meccanica” dello
stomaco. L’aumentata pressione esercitata sugli altri organi adiacenti
e sulla stessa parete addominale, rappresenterà quindi il nuovo segnale di
“stop ai rifornimenti”. Ma ormai il limite è stato superato. Per
capire ancora meglio la situazione basta immaginare di sedersi a tavola
affamati, e di dover scegliere tra una porzione di porchetta, e un piatto
di pasta, di pari peso. Già a priori riusciamo a “percepire” che la
porzione di porchetta ci basterà, mentre se pensiamo di mangiarci la
pasta, certamente al termine ne vorremo ancora. Infatti la nostra
pregressa esperienza nell’aver consumato la porchetta è in grado da subito
di “sfamarci”, senza necessità di ulteriori porzioni, e tutto grazie alla
ricca quota di grassi e proteine presenti nella carne di maiale. Sono
proprio questi a sensibilizzare la colecistochinina e a comandare il senso
di sazietà. Mentre se consumiamo pasta, essendo queste due sostanze
quasi completamente assenti, dovremo introdurre ancora alimenti per averne
soddisfazione, ottenendo però in cambio una “pienezza” fisica e non
chimica. Un altro ormone infine interviene nel regolare il nostro
desiderio di mangiare, ed è la
#leptina.
Questa è prodotta dagli
#adipociti
(cellule di grasso) , in dipendenza di un altro ormone (la grelina) il
quale è il primo nella catena degli eventi, a spingerci a cercare del
cibo. Quando la leptina è in circolo in quantità sufficiente, conferma
all’organismo che non vi sono necessità impellenti di trovare cibo e
quindi NON AVVERTIAMO IL SENSO DI FAME. Ora accade che, quando
introduciamo cibi ricchi di carboidrati, la insulina interviene per
abbassare il livello di zuccheri, e ottiene tale effetto anche SPINGENDOLI
A TRASFORMARSI IN ULTERIORE GRASSO NELLE CELLULE ADIPOCITI. Gli
adipociti, nuovamente ricaricati, producono altra leptina, ma questa verrà
purtroppo ben presto repressa dalla stessa grelina dalla quale dipende.
Il meccanismo è semplice: se la insulina ha abbassato il livello degli
zuccheri repentinamente, il corpo avverte la necessità di reperire ancora
cibo, ed è proprio la grelina a che lo spingerà a farlo. Quando circola
grelina, la leptina scende, e tutto il ciclo ricomincia.
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